La scrittura che accade

(Questo articolo è stato pubblicato su GenerAzioni di scritture, luglio 2015)

Dai salotti romani alla campagna salentina. Citofonare interno 7, spitalità e convivio per fare della letteratura un’esperienza

La scrittura che accade

SCRITTURA E REALTÀ. I giorni che seguono dondolano caotici e distratti, tra le incombenze del riordinare. Arrivano i ringraziamenti e i congedi, il peso non più alato dei documenti scritti, cifre eterogenee di codici Jumbomail e numeri a piè pagina. Torna la necessità di dare un volto “adulto” alle grandi dichiarazioni mosse dall’emozione. Eppure tra prassi di rito, conti aperti e bilanci, echi sparsi della recente esperienza condivisa continuano a battere, in forma scomposta e un po’ fuori misura. Come un innamoramento che scombina tutte le carte, dando forma a dimensioni nuove in cui scegliere di stare.

Volevamo dedicare questo numero di GenerAzioni di scritture al rapporto tra letteratura e realtà. Avevamo abbozzato, inizialmente, una rosa di interventi teorici attraverso cui articolare la riflessione. Poi la vacanza salentina di Rossano Astremo e l’idea di proporre Citofonare interno 7 – l’aperitivo letterario che da alcuni anni si tiene nei salotti romani – nel nostro territorio, sono arrivati a scombinare le nostre carte. Così, il 9 luglio scorso a Santa Maria al Bagno (Lecce), ciò di cui avremmo discusso forse astrattamente si è manifestato nel nostro stesso esserci e partecipare.

Come richiede il progetto la serata si è tenuta in una casa privata, quella di campagna di Livio Romano, improvvisato porto di mare per ospiti sconosciuti, confusi con quelli espressamente richiamati; ognuno, a proprio modo, invitato a partecipare all’evento con un testo, una chitarra, una pietanza, un libro in dono per il padrone di casa.

L’ospitalità e il convivio: questi due elementi, apparentemente superflui nella costruzione di un evento culturale, hanno dato forma, al contrario, all’identità stessa dell’iniziativa. La letteratura, soprattutto quella in fieri, cerca luoghi minimi, pratiche con cui sabotare ciò che è istituzione, che cristallizza le identità e ostacola la deriva creativa. Non a caso erano inediti, nella maggior parte, i testi condivisi durante la serata. Testi in fieri, appunto, da prestare al rapporto dinamico con gli altri partecipanti, lettori o ascoltatori. Abbiamo assistito anche a una proposta radicalmente performativa, quella di Carlo Alberto Augieri: quattro incontri avvenuti nel corso della serata elevati essi stessi a testi, perché “la vera invenzione è quando l’Altro abita fortemente dentro l’Io. La scrittura è ospitalità”.

PORTO DI MARE. Un crocevia di esperienze diverse in contatto transitorio. Insieme ad Augieri – che con la scrittura ha un lungo rapporto, come poeta prima che da docente di Teoria della letteratura all’Università del Salento – un gruppo eterogeneo di persone ha condiviso i propri testi dal patio di casa Romano.

Cinque poesie da Epica d’interni per Rossano Astremo, che con voce ferma e gentile ha esposto la persistenza di antichi vuoti e di un dolore fortemente intriso di desiderio, tracciando con i suoi versi un inequivocabile spartiacque tra il prima e l’ora della serata.

Persistenze indelebili, ma provenienti da una dimensione storica e collettiva, protagoniste nella lettura di Livio Romano, Come un tulipano, il commovente racconto della ex Jugoslavia dilaniata dalla guerra, scelto non a caso nella serata precedente l’anniversario della strage di Srebrenica.

La leggerezza ha animato invece l’intervento di Stefano Cristante, docente di Sociologia della comunicazione all’Università del Salento e scrittore creativo “da quando aveva sei anni”. La polvere, La mono ala, Bici da surf, tratti dalla serie inedita Nove conferenze radiofoniche su altrettanti mezzi di trasporto da verificare, hanno restituito in chiave ironico-satirica le domande centrali sulla contemporaneità poste dall’analisi sociale. Si è confrontato con l’attualità anche Umiliati e offesi di Francesco Lanzo, il racconto allucinato di un call center, versione 2.0 della fabbrica chapliniana.

Derive e approdi, dentro e fuori il testo, per Vanni Schiavoni, che recita Ora che non siamo più marinai e, confessa poi, si sente lui stesso “come quel verso di Bob Dylan che fa se non ha niente, non hai niente da perdere (Like a rolling stone).

Esporsi, mettersi a rischio è il gioco di Citofonare interno 7. Ha voluto scommettervi Stefano Zuccalà, condividendo tre prose da due raccolte in uscita: memorie e ossessioni irrisolte nel rapporto dell’uno con(tro) l’uno. Anche Osvaldo Piliego vi ha partecipato senza riserve, proponendo un brano dal romanzo, work in progress, Se tu fossi una brava ragazza.

Un’esposizione, ma di se stessa e del proprio modo di essere poeta, quella autentica e radicale di Gioia Perrone (Provo a scrivere questa poesia). Nei suoi versi l’incombere del sonno santo di chi ha accudito il proprio bambino e la poesia ricercata come una pratica necessaria: “per farti rinascere dal buco, per partorirti come se fossi tua madre impazzita, tua madre liscia, tua madre esatta, per non resistere più a questo sonno per non resistere più a questa poesia”.

E poi altri frammenti. Lintervento di un turista napoletano in vacanza nel Salento, richiamato nel cuore della campagna neretina da un articolo di giornale. La voce morbida di Antoine, giovane cantante francese. La musica: per Andrea Baccassino, Pasquale Chirivì, Luigi Mariano, Federica Palma, Alfredo Ronzino, Giuseppe Tarantino mescolare i piani, sgomberare il campo dalla seriosità, confondere chi suona per professione e chi continua a farlo per passione da anni, è stato un omaggio all’identità liquida dell’evento.

IL POST.

Spente le luci del patio, vuotato l’ultimo calice di vino, ciò che resta è l’impressione di aver confermato il progetto iniziale di questo numero di GenerAzioni di scritture. Una letteratura capace di guardare al reale è una letteratura che sa stare nel reale, sporcarsi dei luoghi di cui parla, lasciarsi attraversare dagli accenti, dai balbettii, dai silenzi. E ancora: sa essere permeabile anche nel momento del suo farsi parola. Un tentativo che negli anni è stato fatto, nel Salento, da esperienze significative come quella del Fondo Verri e di alcune altre, ma su cui ancora si potrebbe insistere.

La questione, posta da Stefano Cristante su Nuovo Quotidiano di Puglia all’indomani della serata, della necessità che la letteratura diventi occhio e voce dei drammi pugliesi come l’Ilva di Taranto, è di assoluta rilevanza. Eppure ci sembra che, accanto al cosa, sia il comeuna modalità condivisiva alla radice – a poter dilatare il cuore della scrittura.