(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su nuovo Quotidiano di Puglia, giugno 2016)
Al Cineporto di Lecce una mostra per raccontare il percorso ostinato e intemperante della donna che volle mettersi dietro l’obiettivo nel secondo Dopoguerra.
Cecilia Mangini, sessant’anni di fotografia militante. «Oggi? Tornerei a occuparmi di Taranto»
Una foto la ritrae a proprio agio, una sigaretta in mano e le sopracciglia arcuate. Alcuni decenni dopo, quella foto che chiude il catalogo di “Cecilia Mangini. Visioni e passioni” non sembra tanto sbiadita nel qui e ora della delicata signora che ci ritroviamo davanti. Ieri sera al Cineporto di Lecce lei in persona, insieme al curatore Paolo Pisanelli, ha raccontato il percorso ostinato, intemperante – in una parola, “militante” – della donna che volle mettersi dietro l’obiettivo, e poi dietro macchina da presa, nel secondo Dopoguerra.
L’esposizione, a cura di Paolo Pisanelli e Claudio Domini, ne racchiude un periodo lungo 13 anni, dal 1952 al 1965, al tempo della rinascita italiana e della crescita impetuosa dell’economia di cui Mangini seppe cogliere le contraddizioni. Ideato da Associazione Cinema del reale, Erratacorrige, Big Sur e Officina Visioni, il progetto è realizzato con il sostegno di Apulia film commission. Ieri sera hanno partecipato all’inaugurazione anche l’assessore alla Cultura della Regione Puglia Loredana Capone, l’assessore Gaetano Messuti in rappresentanza del Comune di Lecce e Chiara Coppola, consigliere d’amministrazione di Afc.
Cecilia torna doppiamente a casa, nella sua Puglia – lei, originaria di Mola di Bari – e nella cornice del nuovo cinema pugliese che continua a dover molto alla sua opera.
Documentarista, prima di tutto, come lei stessa si è sempre dichiarata, ma anche fotografa.
La suggestione di un passato ancestrale emergente dal cuore degli anni del boom è il tema d’indagine su cui più volte insiste Mangini, non a caso in stretta collaborazione – e connessione – con Pier Paolo Pasolini. “Stendalì”, girato a Martano nel ’59 tra le «professioniste del sacro», ne è uno degli esempi più noti.
Altri erano ieri davanti agli occhi dei visitatori, nei circa quaranta scatti “volanti” appesi al soffitto delle Manifatture Knos, il cui allestimento è firmato da Maurizio Buttazzo e Francesco Maggiore.
Un’umilissima bottega artigiana e case in rovina nella Milano del ’55, un padiglione con fucili Beretta in bella mostra alla Fiera del Levante nel 1960, bambini vietnamiti che mangiano ghiaccioli nel ’65. E ancora, i grandi intellettuali del Novecento ritratti nella vulnerabilità del loro privato: Pasolini circondato dai ragazzi, naturalmente, ma anche Curzio Malaparte in ospedale.
«Oggi, invece, tornerei a occuparmi di Taranto – ha commentato Mangini, riferendosi all’ultimo suo lavoro, “In viaggio con Cecilia” – dopo la stagione del 2012-13 in cui la città ha sentito che bisognava riappropriarsi del proprio destino. Un momento bello e vitale pur nelle sue contraddizioni, che oggi è stato fiaccato con una serie infinita di decreti legge e ordinanze».
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