(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, agosto 2015)
Una gestazione lunga cinque anni, un luogo che non esiste sulle carte geografiche, una storia di formazione e di classe. Il primo ciak de “La guerra dei cafoni”, il film di Davide Barletti e Lorenzo Conte tratto dall’omonimo romanzo di Carlo D’Amicis
La perdita dell’innocenza in un Salento mitico
Le voci dure come cemento dei ragazzi delle bande romane, quelle squillanti dei figli e dei nipoti, una traccia gracchiante, ma riconoscibile, del tappeto sonoro della propria stessa adolescenza. Quando lunedì scorso, davanti a un gruppo confusionario di quattordicenni e quindicenni, è stato ordinato il primo “ciak”, Davide Barletti e Lorenzo Conte sapevano di poter attingere da una lunga storia di suggestioni per restituire in immagine il mondo parallelo di un Salento visto con gli occhi dei ragazzini.
“La guerra dei cafoni”, il loro nuovo film tratto dall’omonimo romanzo di Carlo D’Amicis, ha avuto una gestazione di ben cinque anni, conclusasi con la scelta della casa di produzione romana Minimum fax media di lanciarsi nell’avventura del suo primo lungometraggio. La sceneggiatura è firmata, oltre che da Barletti e Conte, dallo stesso autore, Carlo D’Amicis, e da Barbara Alberti. I circa venti ragazzi protagonisti del film sono stati selezionati nell’intero territorio pugliese con un lungo lavoro di casting curato dalla Oz film. Le riprese, che proseguiranno sino alla prima metà di ottobre, saranno anche, spiegano i registi, un laboratorio a cielo aperto in cui si tenterà di fare emergere il vero sé dei ragazzi. Una parte speciale è affidata all’attore Claudio Santamaria, che con Barletti e Conte ha già collaborato nel film “Fine pena mai” (2008).
Protagoniste di questo nuovo lavoro sono due bande di ragazzini che si sono giurate odio eterno nel “teatro di guerra” di Torrematta, marina immaginaria conficcata in un Salento resistenze alla modernità. I primi, i “signori”, sono figli di “famiglie bene”, i secondi, i “cafoni”, figli di pescatori e contadini, al più di operai dell’Italsider. Camicie firmate e moto per i signori, pochi soldi ma molta arguzia tra i cafoni: le regole sono chiare, nessun contatto degli uni con gli altri – se non per “giocare” a eliminarsi fisicamente – per preservare la propria identità di branco prima che di classe.
«Me ne rendo conto da quando sono diventato padre: il mondo visto dagli occhi dei ragazzini è un mondo non necessariamente migliore, ma diverso» spiega Davide Barletti.
Con gli adolescenti, del resto, Barletti e Conte hanno già lavorato filmando reportages sulle bande metropolitane romane a fine anni Novanta, poi documentari sul calcio napoletano e sul lavoro minorile nel Salento. Un mondo, quello degli adolescenti, di colori netti, di fedi assolute e di sofferenze cocenti. Diventare grandi significa, allora, assimilare il cambiamento, e il compromesso che questo comporta. È il 1974, l’onda lunga della contestazione sta arrivando – certo, come vaporosa schiuma piuttosto che tsunami – persino a Torrematta. “Cafoni” e “signori” sembrano ormai categorie dello spirito più che classi sociali rigidamente determinate.
Torrematta è un luogo che non esiste sulle carte geografiche, un angolo ancora vergine in un’estate in cui la verginità, inevitabilmente, si perde. «C’è il classico romanzo di formazione, ma anche un discorso pasoliniano sulla divisione di classe. La guerra delle due bande e la sua parabola è la metafora di un cambiamento sociale epocale. Ma fondamentalmente – aggiunge Barletti – questa è una storia mitica, irriverente, magica”.
In questa storia il Salento, lo si è capito, ha una parte centrale, e le location scelte per le riprese – tutte tra la provincia di Lecce e quella di Brindisi, rigorosamente top secret – sono luoghi inediti, angoli ancora non battuti dalla macchina da presa, pronti a diventare nuove suggestioni dell’immaginario dei due registi. E sarà un ambiente sospeso, onirico. Filtrato dagli occhi dei ragazzi.