TRENT’ANNI DOPO RAGAZZI DI PIAZZA. CHE COSA RESTA DEL SALENTO DI PIER VITTORIO TONDELLI. Quarta parte/Tricase. Una nuova alba

«Andate, ma non lo troverete. Un palazzo a due piani, un lungo balcone, una saracinesca. Sembra una casa privata: lo è. Forse solo il numero civico è lo stesso».

No, in via Spallanzani, a Tricase, neanche il civico è sopravvissuto alla stagione del Tam Tam. Era il 13, ora è il 33. La nostra spedizione a ritroso lungo la storia vertebrale di un decennio si avviluppa su se stessa in giri a vuoto. In via Spallanzani, a Tricase, il silenzio più certo avvolge la notte. Agglomerati ben piantati in terra riposano di un sonno domestico, pesante, nella tranquillità del paese, nella periferia della notte. Continua

TRENT’ANNI DOPO RAGAZZI DI PIAZZA. CHE COSA RESTA DEL SALENTO DI PIER VITTORIO TONDELLI. Terza parte/Centro storico. Passato prossimo

Il centro storico era un deserto di pietra e polvere, nell”86. «Troppi finanziamenti vanno perduti per incuria a Lecce» scrive il Quotidiano, giovedì 5 giugno. Il 22 tuonerà «Là dove l’antico diventa degrado», preannunciando un book-inchiesta in collaborazione con il Movimento per la salvaguardia e lo sviluppo del centro storico. «Qui un balcone tenuto su a malapena da rudimentali puntelli di legno si è trasformato in un “erbario” pensile – spiega puntuale la didascalia – ciuffi verdi adornano anche la facciata di una casa di vico Storto; in via dei Mesagnesi una casa è completamente sventrata». Palazzo Adorno, Palazzo Dei Celestini, l’ex Convitto Palmieri attendono un compassionevole restauro. Il soffitto a cassettoni del Duomo minaccia di staccarsi in pezzi. Continua

TRENT’ANNI DOPO RAGAZZI DI PIAZZA. CHE COSA RESTA DEL SALENTO DI PIER VITTORIO TONDELLI. Seconda parte/Lecce. L’età dell’innocenza

«Mi ricordo bene quando ne parlammo. Ci siamo incontrati per caso al Dada, un club teatro a Castelfranco Emilia, a metà strada tra Bologna e Modena. Doveva essere un concerto di Philippe Glass. Scrivevamo entrambi su «Rockstar», io di musica, lui teneva la rubrica «Culture Club». Mi raccontò di questo suo reportage. A quel tempo collaboravo con «Lei», che in seguito sarebbe divenuto «Glamour», e lì avevo pubblicato un articolo – lo ricordo perché fui preso in giro dai miei amici leccesi – che si intitolava, un po’ provocatoriamente, Lecce come Berlino. Naturalmente, Berlino era molto di moda, Lecce invece non se la filava nessuno. Eppure non era uno scherzo, io ci credevo davvero nella creatività leccese, ecco perché consigliai a Pier di andarci. Gli diedi indicazioni, allertai le persone che lo avrebbero guidato. Sì, fui io a dirgli che avrebbe trovato a Lecce quello che stava cercando». Continua

TRENT’ANNI DOPO RAGAZZI DI PIAZZA. CHE COSA RESTA DEL SALENTO DI PIER VITTORIO TONDELLI Prima parte/ Non è più l’ora dell’aperitivo

Attorno al salotto sudamericano di Piazza Mazzini, a Lecce, all’una e mezzo non è più l’ora dell’aperitivo. Arrivo puntuale a un appuntamento che io sola ho deciso. Il luogo è lo stesso, quella l’ora. Trent’anni più tardi. 1986, era estate. L’appuntamento di Pier Vittorio Tondelli con il Salento era partito da qui. La fauna giovane del capoluogo salentino si raduna a varie ore del giorno e della notte con una particolarità: la rotazione.

Non la vedo, oggi. Continua

Le nuove strade dei musicanti

(Questo reportage è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, ottobre 2016)

Le bande da giro pugliesi /1

Un patrimonio che si trasmette da centocinquant’anni. Lecce, Squinzano e le formazioni storiche. Sulla cassa armonica le colonne sonore dei colossal hollywoodiani insieme alla trilogia verdiana. La prova del fuoco della crisi economica

Le nuove strade dei musicanti

Si scaldino le trombe, rullino i tamburi, la banda è pronta a portare ancora una volta la musica in paese. E con questa, anche la festa, i ricordi antichi dei bambini di una volta, lo stupore dei bambini di oggi, una magia che si diffonde per le strade e le piazze insieme al profumo della copeta e a un pizzico di sano orgoglio per la storia del proprio campanile. In tutto il Sud Italia la tradizione delle feste patronali fa tutt’uno con quella delle bande da giro. Un patrimonio che si trasmette ininterrottamente sin da fine Ottocento, anche se oggi, tra le possibilità infinite offerte dall’era della “riproducibilità tecnica dell’opera d’arte” – come la chiamerebbe Walter Benjamin – e i gusti che cambiano, la vita dei musicanti non è proprio quella di un tempo. Meno date, compensi inferiori, e la professione vera e propria rischia di essere barattata con un hobby della domenica che non fa bene alla grande tradizione. Continua

Babbo Natale tra i migranti

(Questi articoli sono stati pubblicati con altri titoli su Nuovo Quotidiano di Puglia, agosto-settembre 2016)

Il cortometraggio di Alessandro Valenti per il Premio MigrArti. Dal racconto dell’orrore al cortocircuito d’immaginari. L’impresa è partita dalla frequentazione del Centro Emmanuel per rifugiati e richiedenti asilo. «Scandaloso far muovere i capitali finanziari, costruire muri per gli esseri umani»

Babbo Natale tra i migranti

«I bambini? Abbiamo passato il pomeriggio insieme, erano qui fino a poco fa». Parlare di cast e riprese e di un pomeriggio privato può richiedere due domande, la risposta tuttavia è una sola. “Babbo Natale”, il cortometraggio firmato dal regista e sceneggiatore Alessandro Valenti, nasce dalla frequentazione quotidiana del Centro di permanenza temporanea per rifugiati e richiedenti asilo “Casa Francesco” di Novoli. E ora approda a Venezia, dove il 5 settembre sarà presentato in concorso alla 73esima Mostra internazionale del cinema, nella sezione “MigrArti”. Il film scritto da Valenti con Matteo Chiarello, prodotto da Saietta Film e realizzato in partnership con la Fondazione Emmanuel e con il Mibac, si è classificato primo su 528 progetti in concorso nel bando promosso dal ministero per l’integrazione e l’incontro tra le culture. Al film ha collaborato, tra gli altri, Marco Spoletini, storico montatore dei film di Matteo Garrone.

L’impresa è partita dalle lezioni di lingua italiana che Valenti tiene come volontario nel Centro Emmanuel di Novoli. Frequentare uno “spazio di mezzo”, in cui si giocano speranze e attese di decine di giovani e giovanissimi che hanno attraversato il mare, difficilmente lascia indifferenti. Continua

L’atto politico del corpo in scena

(Intervista inedita, gennaio 2016)

Mario Perrotta, premio Ubu 2015, ha legato la propria opera a un impegno militante a favore degli ultimi, le “propaggini estreme” dei sistemi umani, al di là di astrattezze e retorica

L’atto politico del corpo in scena

Punto d’origine e destinazione ultima del vario transito dei sistemi culturali, il corpo è, sempre, materia politica, territorio in cui si realizza l’immemore negoziato tra uomini e donne, individui e comunità, cittadini e potere. Ogni cosa, spogliata delle costruzioni retoriche dell’umano, si origina nei lembi del corpo, e al corpo ritorna. Ben prima che il popolo delle femministe rivendicasse il portato politico dell’amore fisico, delle gravidanze, delle fatiche private, la “biopolitica” messa in atto dalle dittature rivelava la consapevolezza immemore di questo assunto. La suggestione abbagliante di migliaia di corpi in schiera, tenuti insieme come molecole di un’unica sostanza, o ancora la trasformazione operata sulla forma stessa del corpo da parte dei luoghi di contenimento, gli “Asylums” di foucaultiana memoria, ne sono alcuni esempi.

Quali sono stati i luoghi terminali della politica nell’anno funesto 2015, se non il corpo di Aylan, bambino, verticale e vivo, trasformato in un fagotto supino sulla sabbia, e di migliaia di altri come lui, quali, se non la carne esplosa dei kamikaze, se non quella trafitta da parte a parte dei giovani francesi del Bataclan, se non quella schiacciata dalle macerie dei cittadini siriani, oltre ogni retorica, oltre ogni manifesto politico?

Ne abbiamo parlato con Mario Perrotta, pluripremiato attore e regista teatrale (ultimo, l’Ubu 2015 per il Progetto Ligabue), che ha fatto della messa in scena del corpo il proprio atto politico. Continua

«Holstebro, un’utopia realizzata»

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, gennaio 2016)

Davide Barletti. Teatro e comunità, il sogno possibile dell’Odin Teatret. “Il paese dove gli alberi volano”, il documentario firmato con Jacopo Quadri, racconta i giorni della Festuge per i cinquant’anni dell’Odin.

«Holstebro, un’utopia realizzata»

La prima scena – una strada asfaltata sotto un bianco cielo del Nord e una dozzina di ragazzi africani che la percorrono facendo acrobazie con una naturalezza disarmante – ha già in sé la forza di un manifesto. Siamo a Holstebro, cittadina della Danimarca che è poco più di una virgola sulle mappe geografiche, eppure è in grado di evocare magia e rivoluzione in chiunque, nel mondo, conosca il teatro contemporaneo. Qui Eugenio Barba impiantò, nel ’66, l’Odin Teatret, fondato due anni prima in Norvegia e qui, mezzo secolo dopo, Davide Barletti e Jacopo Quadri sono approdati per carpire l’eredità, più che mai vitale, di quell’avventura.

Dal loro viaggio nasce il documentario “Il paese dove gli alberi volano. Eugenio Barba e i giorni dell’Odin”, prodotto da Fluid Produzioni e Ubulibri con il sostegno di Apulia film commission e Creative Europe, in collaborazione con Sky Arte. Il lavoro verrà presentato oggi alle Giornate degli autori della 72esima Mostra del Cinema di Venezia. Continua

«Dalla pagina scritta alle loro facce, una materia viva»

(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su nuovo Quotidiano di Puglia, ottobre 2016)

Alla Casa del Cinema di Roma la pre-anteprima de “La guerra dei cafoni”, un laboratorio in progress per un “esercito regolare” di ventiquattro giovani attori. Il racconto del regista Davide Barletti e dello scrittore Carlo d’Amicis, autore del romanzo da cui è tratto il film.

«Dalla pagina scritta alle loro facce, una materia viva»

Aria guardinga di chi ha messo un piede in terra straniera, aria trionfale di chi ha strappato alla strategia o al caso una nuova postazione in un gioco di guerra, ventiquattro ne conta il piccolo “esercito” regolare, qualche altra decina i coetanei alleati. Banditi gli adulti, come banditi sono nel film. Il gioco è tutto per loro: “cafoni” e “signori”, imberbi colonnelli di una guerra che si muove esplorandosi, tracciando improbabili territori d’identità, tentando battaglie come fossero inviti a presentarsi. Questa sera, alla Casa del cinema di Roma, saranno loro i soli ammessi alla prima proiezione de “La guerra dei cafoni”, il film di Davide Barletti e Lorenzo Conte prodotto da Minimum Fax Media con Rai Cinema, Amedeo Pagani (La Luna) e con il contributo della Direzione generale cinema e di Apulia Film Commission, una delle quattro pre-anteprime della Festa del cinema di Roma.

Attendiamo il grande approdo insieme a Davide Barletti e a Carlo D’amicis, l’autore del romanzo da cui è tratto il film, che con i due registi firma anche la sceneggiatura. Nel salottino di Ubu libri, nel quartiere Testaccio – sede operativa del montatore Jacopo Quadri – l’atmosfera sosta a metà tra la distensione dopo un’impresa compiuta e la fibrillazione un po’ emozionata del secondo capitolo. Continua

Dalla festa patronale al festival, il laboratorio degli immaginari bandistici

(Questo reportage è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, ottobre 2016)

Bande da giro pugliesi/2

Bande a Sud, cantiere d’ibridazione per musicanti tradizionali e pop band. Le formazioni rinate e quelle giovani. Gli esperimenti per avvicinare le nuove generazioni.

Dalla festa patronale al festival, il laboratorio degli immaginari bandistici

Portare la musica classica nelle strade, farla entrare nei cuori delle persone dal balcone di casa, e in quello dei ragazzi, con il potere di grancasse e ottoni che sfidano gli Ipod. La banda da giro è un prodotto tutto “made in Sud”, nato a fine Ottocento, si potrebbe dire, come “esperimento pop” per allietare la vita dei paesi bardati a festa nel giorno della festa patronale, o per accudirne il dolore, come un balsamo, in occasione dei funerali. Le note “alte” suonate fino ad allora solo nei teatri, luoghi invalicabili per il “popolino”, diventavano patrimonio di tutti, una vittoria celebrata dal tripudio un po’ scomposto di fiati e tamburi, esibita in lungo e in largo per le strade del paese, poi di centro in centro, da Orsara di Puglia, nel Foggiano, fino a Squinzano, passando per Acquaviva delle Fonti, Francavilla Fontana e per le altre storiche patrie della banda.

Oggi quella storia, che ancora resiste, si scontra tuttavia con la musica a portata di cd e Ipod, le discoteche e i concerti divenuti parte del lifestyle, l’evoluzione dei trend, in cui la musica classica trova un posto sempre più marginale. Ma la coltre di polvere che di tanto in tanto s’adagia sugli ottoni lucenti può volare via in un soffio, oppure divenire una magia iridescente se si attivano nuove alchimie. Il “laboratorio”, per restare nella metafora, è vasto e ha molte stanze. Continua