Si è spenta a Roma all’età di 93 anni. Con la Puglia, e in particolare con il Salento, intratteneva un rapporto privilegiato, non solo biografico, ma segnato nelle memorabili immagini di alcuni suoi film e coltivato, negli ultimi anni, grazie a una meritevole opera di riscoperta del suo lavoro.
(Questo articolo è apparso con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, 23 gennaio 2020. La foto di Cecilia Mangini è di Joana Ferreira; la ritrae nei giorni della sua ultima visita in Salento, per la Festa di Cinema del reale)
Ha attraversato quasi un secolo di storia, testimone “in presa diretta” della società del Novecento e dei grandi cambi di paradigma che hanno fatto epoca. Aveva 93 anni, Cecilia Mangini, per tutta la vita ha raccontato la realtà dietro un obiettivo, prima con la fotografia, poi con il cinema documentario: era stata la prima donna a rivendicare un posto in quel mondo nel secondo dopoguerra. Infine, negli ultimi anni, tornando a lavorare sulla sterminata mole delle sue opere, anche inedite. Si è spenta giovedì scorso a Roma. Il suo infaticabile impegno, da lei vissuto come un’autentica militanza – in comunione di vita e d’intenti con il marito, il documentarista Lino Del Fra- fanno di lei uno pilastri del cinema del reale in Italia. «Oggi la tensione verso la realtà è più che mai indispensabile» aveva detto in una nostra intervista.
Viveva nella Capitale sin dagli anni Cinquanta, ma le sue origini erano fiorentine e pugliesi e proprio in Puglia, a Mola di Bari, era nata nel 1927. Con la Puglia, e in particolare con il Salento, intratteneva un rapporto privilegiato, non solo biografico, ma segnato nelle memorabili immagini di alcuni suoi film e coltivato, negli ultimi anni, grazie a una meritevole opera di riscoperta del suo lavoro. Nel 1960, nella vasta eco delle campagne etnografiche di Ernesto De Martino, giunse nel Salento, a Martano, per avventurarsi negli antichi rituali del lutto della Grecìa Salentina di cui allora resistevano alcune rare testimonianze. Frutto di quel viaggio è il documentario “Stendalì – suonano ancora”, un prezioso documento sulle lamentazioni funebri delle prefiche salentine, tra le ultime «professioniste del sacro», come lei stessa amava chiamarle. Per quel film Mangini si avvalse di un eccezionale collaboratore, Pier Paolo Pasolini, che firmò i testi, in un sodalizio già sperimentato in “Ignoti alla città” (‘58) ambientato nelle borgate romane, e confermato nel ‘62 con “La canta delle marane”.
Mangini, attenta osservatrice del presente, tornerà più volte nel Salento anche per documentare gli impressionanti cambiamenti prodotti dall’industrializzazione del territorio. Come in “Brindisi ‘66”, incentrato sull’impianto petrolchimico Monteshell. Ben più recente, del 2013, è il lavoro realizzato a quattro mani con la regista pugliese Mariangela Barbanente, “In viaggio con Cecilia”, che racconta le contraddizioni legate all’Ilva di Taranto. A colloquio con chi scrive, in un’intervista apparsa su queste pagine, ancora nel 2017 Mangini non mancava di richiamare l’importanza della questione tarantina: «Ciò che sarebbe da fare oggi è un documentario su ciò che è successo a Taranto dopo quella straordinaria stagione in cui la città ha sentito che bisognava appropriarsi del proprio destino – dichiarava – un momento vitale della città che oggi è completamente scomparso, fiaccato da una serie infinita di decreti legge e ordinanze».
Ma il lavoro su Taranto appartiene all’ultima stagione di Mangini, quella segnata dalla riscoperta della sua figura. Tra le tappe salienti di questi ultimi anni, la riedizione, nel 2005, del documentario “Stendalì” a cura di Mirko Grasso per la salentina Kurumuny Edizioni, e il film-tributo di Davide Barletti e Lorenzo Conte, “Non c’era nessuna signora a quel tavolo”, che ripercorre la storia d’Italia attraverso la sua biografia, del 2010.
Il rapporto di Cecilia con il Salento è poi fortemente segnato dal legame, artistico e di amicizia, con il regista Paolo Pisanelli. Sin dalla metà degli anni Duemila la Festa di Cinema del reale, la manifestazione da lui diretta dedicata al cinema documentario, l’aveva eletta sua “madrina” dedicandole conversazioni, mostre e proiezioni. Proprio la Festa l’aveva portata per l’ultima volta nel Salento, a Corigliano d’Otranto, lo scorso luglio.
Nel 2016 Pisanelli insieme a Claudio Domini aveva curato la mostra itinerante “Cecilia Mangini. Visioni e passioni”, che ripercorre le fotografie degli anni Cinquanta e Sessanta, in cui non mancano le immagini della Fiera del Levante del 1960. Con Pisanelli aveva anche rimesso mano al suo lavoro, riaprendo vecchie scatole piene di straordinarie diapositive. “Due scatole dimenticate” si intitola, appunto, il film firmato a quattro mani che racconta il fortuito ritrovamento degli scatti realizzati nel 1965-66 per i sopralluoghi del progetto filmico “Le vietnam sera libre”, poi mai realizzato a causa del complicarsi della guerra.
Con Pisanelli aveva prodotto di recente anche un documentario breve su Grazia Deledda, ed altri progetti erano ancora in corso: tra questi, il film “Cecilia Mangini. Il mondo a scatti”.
Negli ultimi anni, la sua nuova consacrazione a livello nazionale era ormai compiuta. In ragione della sua lunga militanza nel racconto del reale, era stata più volte ospite nel programma Di Martedì su La 7, dove veniva invitata a intervenire sui temi caldi dell’attualità politica e sociale italiana. Lo scorso novembre il Torino Film Festival le aveva conferito il Premio alla carriera.