(Questo articolo è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, luglio 2015)
Claudia Mollese, regista del documentario che ricostruisce il rapporto della più nota transessuale leccese con la città, tra amarezze, voglia di revanche e un incredibile fiuto per gli affari
La Mara che fece storia
“La Mara la conoscevi?”. Chi voglia interrogarsi sul recente passato di Lecce non può sottrarsi alla domanda, insistente e quasi retorica, che fa da specchio a ogni tentativo di comprensione della città.
Perché Mara, celeberrima transessuale che grazie a una fiorente carriera da prostituta fece del centro storico il suo “impero”, non solo immobiliare, è tutt’uno con la storia degli ultimi decenni.
E così anche Claudia Mollese, documentarista alla ricerca della “città invisibile” perduta tra vecchio e nuovo, ha finito per dedicare il suo lavoro a questo scaltro Re Mida, che tramutò in oro una vita non facile, divisa tra lustrini e lacrime: in una parola, “Amara”.
L’opera prima di Mollese, prodotta con il sostegno del Collectif film flamme di Marsiglia e dell’Ehess di Parigi, ha aperto, fuori concorso, l’ultima edizione del Festival del cinema europeo, e dopo il Gay and lesbian film festival di Torino questa estate sarà nel cartellone di altri eventi in tutta Italia.
Nella ricostruzione degli anni precedenti alla “Lecce da bere”, la parola è affidata a Lola, Vanda, Principessa e alle altre inquiline di Mara, donne di nascita o per scelta che come lei hanno “fatto la vita” e che ne condividono le amarezze e un’inconfondibile arguzia. Non a caso, solitudine e affari tornano a rievocarne il ricordo: non si accontentò di far soldi, Mara, ma costruì un vero impero tra Vico delle Giravolte, l’area della Chiesa Greca e quella delle Scalze, dando forma al suo riscatto, mattone su mattone. E surrogando, forse, la protezione familiare perduta quando aveva scelto di diventare una transessuale. Una storia che riecheggia ancora oggi tra quelle mura vocate all’ombra e al silenzio, enclave della vecchia Lecce che resiste alla nuova.
Un percorso di studi in Economia, oggi documentarista. Che cosa c’è nel mezzo?
“Tutta una vita. I miei studi, dalla Sapienza a Parigi, sono stati orientati alla critica dei sistemi economici e mi hanno dato gli strumenti per costruirmi una visione, anche se ho capito che il percorso nelle Ong non faceva per me, per cui mi sono iscritta a un master in Antropologia. Con il documentario ho trovato un equilibrio tra l’osservazione del mondo e la creazione di un linguaggio che fosse mio”.
Perché dedicare il tuo primo lavoro a Mara?
“Il documentario parte da una ricerca sul cambiamento del modo di abitare nel centro storico di Lecce. Essendo stata molti anni fuori, al rientro mi sono resa conto della grande trasformazione che si era consumata in città. Accanto a questa, nelle parole degli intervistati tornava sempre l’immagine di Mara: ho capito che poteva essere una chiave di lettura per entrare in quel passato, perché lei ne è un po’ il simbolo”.
Che cosa incarna esattamente, di quella Lecce, la figura di Mara?
“Mara faceva tutt’uno con l’immagine del centro storico, sino agli anni ’90 considerato come una sorta di “luogo dell’interdetto”. E lei ne era la “matrona”: lavorava come prostituta, gestiva attività disparate, e sappiamo che la maggior parte delle case affittate ad altre prostitute o ai primi stranieri era di sua proprietà. Però – questo “però” emerge sempre nelle interviste – il centro era anche uno spazio di comunità, in cui le persone si conoscevano l’un l’altra”.
Una parte importante di questa storia è il rapporto con la Chiesa. Un rapporto ambivalente, non è così?
“Mara era senza dubbio un personaggio scomodo. Ci fu una grande polemica quando le vennero negati i funerali nel Duomo di Lecce. Ma lei, molto religiosa, negli ultimi anni si era avvicinata alle suore del convento di San Giovanni Evangelista, per questo donò loro tutti i suoi beni. La madre badessa non ha voluto essere filmata, ma mi ha raccontato che un giorno le suore invitarono Mara a pranzo, e questo la toccò molto”.
Rifiuto sociale, umiliazioni e la scelta quasi obbligata della prostituzione: quanto è cambiato, oggi, il rapporto delle persone transessuali con la città?
“Molto, anche rispetto a vent’anni fa. Ciò non toglie che ancora oggi sia difficile essere trans. Mara negli anni ’50 veniva presa a sassate, ma se ha costruito un impero prostituendosi, evidentemente più di qualcuno le ha permesso di farlo. È quella “doppia morale” che caratterizza il nostro Sud, da cui non ci siamo ancora liberati: non dimentichiamo che pochi giorni fa, a Lecce, è stata allertata la Polizia municipale perché due ragazze si baciavano in un parco”.
Stai preparando un nuovo lavoro: qualche anticipazione?
“Si tratta di un cortometraggio, che inizierò a girare tra poco. Protagonista sarà soprattutto il paesaggio salentino, non le persone, ma i luoghi”.