(Questo reportage è stato pubblicato con un altro titolo su Nuovo Quotidiano di Puglia, ottobre 2016)
Le bande da giro pugliesi /1
Un patrimonio che si trasmette da centocinquant’anni. Lecce, Squinzano e le formazioni storiche. Sulla cassa armonica le colonne sonore dei colossal hollywoodiani insieme alla trilogia verdiana. La prova del fuoco della crisi economica
Le nuove strade dei musicanti
Si scaldino le trombe, rullino i tamburi, la banda è pronta a portare ancora una volta la musica in paese. E con questa, anche la festa, i ricordi antichi dei bambini di una volta, lo stupore dei bambini di oggi, una magia che si diffonde per le strade e le piazze insieme al profumo della copeta e a un pizzico di sano orgoglio per la storia del proprio campanile. In tutto il Sud Italia la tradizione delle feste patronali fa tutt’uno con quella delle bande da giro. Un patrimonio che si trasmette ininterrottamente sin da fine Ottocento, anche se oggi, tra le possibilità infinite offerte dall’era della “riproducibilità tecnica dell’opera d’arte” – come la chiamerebbe Walter Benjamin – e i gusti che cambiano, la vita dei musicanti non è proprio quella di un tempo. Meno date, compensi inferiori, e la professione vera e propria rischia di essere barattata con un hobby della domenica che non fa bene alla grande tradizione.
Centocinquant’anni e oltre conta la storia delle bande. In Puglia, tra le prime si ricordano quella di Orsara di Puglia, in provincia di Foggia, e Acquaviva delle Fonti, in provincia di Bari. Poi, a mano a mano, come un benefico contagio i concerti bandistici si diffondono un po’ ovunque. Nel leccese lunga è la tradizione, tra le altre, della Banda di Squinzano, nata nel 1876, che vanta tra i suoi direttori d’orchestra i fratelli Ernesto e Gennaro Abbate, eminenti compositori, praticamente “i papà” della musica per banda. Oggi, tra le bande salentine si contano il Gran Concerto bandistico “Schipa D’Ascoli” di Lecce, il Concerto musicale Città di Aradeo, il Concerto bandistico municipale Città di Casarano, il Concerto bandistico Città di Gallipoli, il Gran concerto musicale “Santa Cecilia” di Sogliano Cavour, altre bande sono a Racale, Casarano, Nardò, Monteroni.
I funerali furono la molla iniziale, l’altra furono le celebrazioni per il Santo Patrono: la festa e la morte, i due momenti principali che scandivano la vita dei sonnolenti paesini meridionali. Da allora, buona parte della ritualità legata alla banda continua a essere rispettata, mentre si tenta di rinnovare il repertorio, per attrarre i più giovani, meno propensi a sedersi ai piedi della cassa armonica come invece fanno ancora oggi i loro nonni, magari vestiti di tutto punto e, spesso, portandosi la sedia apribile da casa, come si faceva un tempo.
Tutt’ora, sono tre le fasi della festa: la processione, in cui si suonano le marce sinfoniche, il concerto sulla cassa armonica, con il repertorio tratto dalla tradizione lirica o da quella sinfonica, e la gran chiusura, in genere dopo i fuochi d’artificio, con i canzonieri e i repertori più moderni.
La scelta dei brani si negozia all’ultimo momento con i comitati festa, che raccolgono le richieste dei “melomani”, gli aficionados della banda. Imprescindibili Tchaikovsky, Beethoven, la trilogia verdiana – “Traviata”, “Rigoletto”, “Trovatore” – Rossini, Bellini, Donizetti, la grande musica colta che, come per magia, al suono di trombe, tromboni e gran casse diventa accessibile alle orecchie, e al cuore, di tutti. Non mancano le composizioni originali per banda, come quelle dei già citati fratelli Abbate. Da più di qualche anno, poi, si affacciano inedite commistioni con l’immaginario pop e con le colonne sonore dei grandi colossal.
Tutto molto bello, se non fosse per le difficoltà economiche con cui chi fa il bandista di professione è chiamato a fare i conti quotidianamente. A differenza delle orchestre, le bande non godono del sostegno di Fondazioni ed Enti pubblici, e i loro introiti si basano, quasi esclusivamente, sugli ingaggi che ottengono dai comitati festa. E questi non pagano più come una volta.
«Tutta l’organizzazione si regge sulle sottoscrizioni dei cittadini e sugli sponsor – spiega Sebastiano Chiriatti, del comitato festa di Copertino – la festa di San Giuseppe è molto sentita qui da noi, è una questione d’identità che unisce anche i più giovani, del resto è il santo del paese. Però quest’anno abbiamo raccolto molti meno fondi degli anni precedenti, tanto che abbiamo dovuto eliminare due delle quattro bande che solitamente si esibiscono il secondo e il terzo giorno della festa. Ma non mi sento di rimproverare nessuno: la crisi morde, e non ha lasciato indenne neppure la festa patronale».
«Noi, per scelta, non andiamo in giro per le case ma facciamo una raccolta che si protrae tutte le domeniche dell’anno, con un banchetto in piazza – dichiara Donato Marrocco, che fa parte del comitato festa di Cannole – non vogliamo essere pressanti, vogliamo lasciare alle persone la possibilità di scegliere. Certo, poi bisogna fare i conti, e non è semplice. Ma noi ci mettiamo il cuore, togliamo del tempo al nostro lavoro e alle nostre famiglie per organizzare la festa, l’unico momento, insieme alla Sagra della municeddha, che unisce tutto il paese».
Certo, tra difficoltà oggettive e mode che cambiano, un po’ di colpa, obbiettano alcuni, ce l’hanno anche le bande. «Le nuove bande alterano il mercato – dichiara senza mezzi termini Enzo Blaco, organizzatore della Banda Schipa-D’Ascoli di Lecce e della Banda di Conversano – le bande storiche nascono per dare lavoro ai musicanti, nelle nuove i bandisti fanno un altro mestiere, e quindi si accontentano di un rimborso spese per arrotondare. E va a finire che i veri professionisti restano a casa. La banda di Lecce, ad esempio, quest’anno ha fatto un’ottantina di concerti, fino a una quindicina di anni fa ne avrebbe fatti almeno centoventi. Nelle bande che organizzo io ci sono vere buste paga, e di conseguenza quando i musicanti stanno a casa hanno diritto alla disoccupazione, altrove non è così». Il tutto per 50-60 euro lordi, per un numero di bandisti che di solito oscilla intorno a una ventina di componenti.
Di recente, proprio su questo punto, è stato organizzato un incontro pubblico a cui ha partecipato il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano. «Il nostro problema – conclude Blaco – è che non c’è nessuno che difende la categoria. Servirebbe un sindacato ad hoc per le bande, ma è difficile, dato che sono una peculiarità del solo Meridione d’Italia».
Il Gran concerto bandistico Schipa-D’Ascolti di Lecce, diretto da Paolo Addesso
«Quando ero bambino mi svegliavo al suono della banda»
«Dichiarare le bande da giro Patrimonio dell’umanità». Il maestro Paolo Addesso, dal 2011 direttore del Gran concerto bandistico Schipa-D’Ascolti di Lecce, non ha dubbi. Di origine salernitana, docente di Strumentazione e composizione per banda e Direzione d’orchestra al Conservatorio di Napoli, torna a Lecce per le prove e, naturalmente, segue la banda nelle molte date in giro per l’Italia. Un curriculum impeccabile, il maestro Addesso avrebbe potuto dedicarsi unicamente alle grandi tournée teatrali, invece ha scelto la strada. «Quando ero bambino, il giorno della festa patronale, mi svegliavo al suono della banda – racconta – credo che la banda faccia parte dell’infanzia di ogni bambino, e ancora oggi sono compiaciuto nel vedere il piccolo di turno che, un tamburo di plastica in mano, lascia la mamma e si mette a suonare nelle file dei musicanti. Che emozione. Sono queste le cose che mi fanno dire che sì, la banda dà più soddisfazioni di qualunque orchestra».
Una lunga e gloriosa storia alle spalle che la rende una delle più conosciute in Puglia e, peraltro, una delle poche realmente strutturate, la Schipa-D’Ascoli vanta un repertorio da fare invidia. «Le tradizioni vanno mantenute e rispettate, ma se non si porta qualche novità finiscono per rimanere solo un fatto del passato» spiega Addesso. Il concerto bandistico di Lecce si regge, oggi, su numeri classici come il “Capriccio italiano” di Tchaikovsky, “Overture 1812”, la trilogia verdiana, Puccini, ma vanta anche sperimentazioni inedite, come i “Carmina burana”. Oppure, si pesca nella tradizione più antica del repertorio originale per banda, e voilà, ecco le storiche composizioni di Ernesto Abbate o una “rivista” a più brani per clarinetto e banda di Raffaele Caravaglios, un po’ il “maestro ideale” di Addesso, docente a Napoli e titolare della stessa cattedra. E infine, per sorprendere il pubblico dei più giovani, un bel pezzo jazz di Artie Shaw.
La negoziazione, spiega il maestro, avviene soprattutto sul secondo numero lirico da eseguire sulla cassa armonica, più breve, mentre sul primo, che dura un’ora, i comitati festa sono irremovibili: decidono loro. Così, in oltre novanta paesi su cento, “I puritani” di Bellini, che pure Addesso si è preso la briga di strumentare, rimane sulla carta. Ma si sa: il comitato ha sempre ragione. Più fortuna hanno i secondi numeri lirici, “La sonnambula” di Bellini, ad esempio, e qualche altro che la banda ha anche inciso “live” e, chissà, prima o poi se ne farà un cd. «Una volta, a Parigi, mi hanno detto “ma come fa La donna immobile a uscire dal trombone?”. Ecco, questa è la nostra unicità – dichiara Addesso – io mi convinco sempre più che si dovrebbe chiedere all’Unesco di dichiarare le bande da giro Patrimonio dell’umanità, perché davvero portano con sé un valore insostituibile».
Il Premiato gran concerto bandistico municipale “E. & G. Abbate” di Squinzano, diretto da Anna Ciaccia.
Una maestra a capo dei musicanti
Dai tempi gloriosi dei grandi fratelli Abbate all’omaggio alle composizioni che hanno fatto la storia della Banda di Squinzano, il cerchio si chiude intorno alla bacchetta di una donna. Dal prossimo 28 ottobre, i bandisti di Squinzano saranno diretti da Anna Ciaccia, alle spalle studi di pianoforte e canto, una laurea in musicologia e un diploma in direzione d’orchestra all’Accademia Pescarese. E il passaggio di staffetta avviene, addirittura, da donna a donna, dato che l’ultima “leader” del gruppo dei musicanti è stata un’altra maestra, Dominga D’Amato. Una notizia degna di nota, in un panorama, quello bandistico, fortemente dominato dalla presenza maschile e, per forza di cose, dalla tradizione. Ma anche le tradizioni cambiano.
«Quando a dirigere si presenta un donna, gli occhi puntati sono tanti – spiega la maestra Ciaccia – ma se riesci a far capire agli uomini che hai una buona formazione e una buona esperienza, puoi conquistarti la loro fiducia». Le carte in regola, la maestra Ciaccia, ce le ha. Non fosse altro che conosce a menadito l’intero repertorio dei fratelli Ernesto e Gennaro Abbate, praticamente i padri ideali della banda di Squinzano, che difatti porta oggi il loro nome. Una delle più antiche e rinomate della Puglia e non solo, attiva sin dal 1876.
Ciaccia aspettava forse questo momento da sempre. Lecce, Martina Franca, San Giorgio Jonico, la Campania: davanti a ognuno dei complessi che ha diretto in questi anni, tornava con la mente al suo maestro Giuseppe Petrachi, allievo degli Abbate, che le ha trasmesso l’amore e, praticamente, tutto il repertorio necessario a dirigere la Banda di Squinzano.
Ci teneva così tanto, Ciaccia, che ha lasciato anche l’insegnamento a scuola per seguire la “sua” banda, molto più impegnativa delle precedenti, dice, perché ha un gran numero di date in tutta Italia. “La sagra dei fiori”, composizione originale per la Banda di Squizano di Ernesto Abbate, l’adattamento della “Boheme” di Puccini, e poi ancora “La stella del Canadà”, “I gladiatori”, “La marcia a tubo”: da questi pezzi non si può prescindere. «Non me lo perdonerei – commenta – e non me lo permetterebbero neppure i melomani, gli spettatori più affezionati che conoscono il repertorio perfettamente e sono molto esigenti. Anche in questo sta la differenza tra l’orchestra e la banda: quando arrivi in un paese i comitati festa ti chiedono questo o quel pezzo e tu devi essere preparato a darglieli, sulla cassa armonica si suoneranno almeno venti brani, e il direttore deve aiutare i bandisti nell’attacco, nel definire l’espressività del momento. Senza contare che, mentre si sfila per strada, la pioggia può cogliere di sorpresa e ci si ritrova con le parti bagnate. Tutto molto più impegnativo dell’orchestra, che esegue pochi brani, e perfettamente studiati mesi prima. Ma è questo il motivo per cui io amo la banda».