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Il cerchio si compone naturalmente lungo una circonferenza di tamburi e cavi elettrici. Sulle assi di legno della piccola sala prove delle Manifatture Knos di Lecce, un raggio si tende a disegnare le posizioni del nostro approdo qui, ora. Qual è il centro magnetico di questo stare comune? Non lo vediamo, non sapremmo dirlo ancora, eppure siamo già, inequivocabilmente, un planetario: terre diverse che si corrispondono a distanza, allacciandosi l’una all’altra. Una ruota arteriosa ordinata intorno a un ombelico, a un cuore.
Il djembe batte un altro colpo, un altro. La grancassa lo raccoglie, i sonagli vibrano di riverbero. Il nostro ritmo cardiaco va formandosi passo passo, una corda tesa, un’esplosione di voce, un battito: ogni nota come un palpito.
Settimana per settimana – ogni mercoledì – cellula per cellula ha trovato il proprio sviluppo questo cuore nuovo, una maturazione naturale lunga il tempo di due stagioni, qui, nella saletta dalle mura color lavagna delle Manifatture Knos.
L’invito, lanciato all’inizio della primavera, era quello di venire, portare il proprio strumento e condividere l’obiettivo di indagare le sonorità del West Africa.
Claudio Prima scosta il microfono e poggia a terra l’organetto. «Un’esigenza che continuava a richiamarmi da un po’, tanto che insieme ad altri colleghi salentini e a due ottimi musicisti africani, Meissa Ndaje dal Senegal e Somieh Murigu dal Kenia, abbiamo dato vita a Tukrè, una formazione meticcia che guarda a due continenti. Giovanni Martella era appena tornato da un viaggio studio in Burkina Faso, e dunque abbiamo deciso di tenere aperta questa ricerca, invitando altri ad unirsi a noi liberamente. Knos è stata una casa e allo stesso tempo un sostegno per questo nostro progetto».
Burkina Faso, Mali, Senegal, Costa d’Avorio sono le nostre destinazioni, là dove la musica è lingua madre, pratica quotidiana della vita di comunità, ombelico antico delle note del mondo disseminatesi con la diaspora in più continenti, e divenute poi blues e jazz, rumba, reggae e innumerevoli altri generi.
La nostra regola è questa: chi sa condivide le note, gli altri le raccolgono e le restituiscono a proprio modo. La musica, prima di ogni altra cosa, è stato il centro magnetico del nostro cerchio.
Nei mesi in cui abbiamo tenuto aperta la jam session de La Repetition molti musicisti sono venuti a trovarci. C’è stato chi è rimasto sulla soglia ad ascoltare, altri hanno preso posto accanto a noi. Molti hanno attraversato questa sala per il tempo di una sola prova, qualcuno è rimasto.
Ed oggi siamo qui, con il nostro bagaglio di ritmi e storie diversi.
Claudio Prima con il suo organetto, incrociato a diciotto anni dopo una lunga frequentazione del pianoforte, delle percussioni, della chitarra, e mai più lasciato. «Un colpo di fulmine, uno stravolgimento» che ha aperto un varco verso la dimensione della musica popolare salentina e, da lì, di quelle del mondo.
Giovanni Martella, oltre che alla batteria, porta con sé il balafon, un litofono west-africano “eredità” del suo viaggio in Burkina Faso tra novembre e dicembre 2016.
Morris Pellizzari arriva al cuore africano trasportato dall’antica passione per il blues: una “lapsteel guitar” elettronica su cui far scivolare le dita come nella tradizione blues, il kamele ‘ngony fatto costruire su misura, nuovo amore dopo un incontro a Bologna con un musicista guineano.
Lorenzo Lorenzoni mette alla prova il suo trombone allenato alle note del jazz, perché ha «voglia di esplorare la dimensione del Sud».
Federico Laganà fa vibrare i sonagli del tamburello salentino come fossero una seconda voce, ma “parla” anche con il calebasse del Burkina e i tamburi mediorientali.
Alessandro Chiga inizia a suonare metal con la batteria ma viene sedotto dal tamburello durante un Erasmus a Parigi, «un suono identitario, capace di raccontare la terra».
Raffaello Murrone può percuotere qualunque superficie trasformandola in strumento musicale. Qui suona la campana, ma anche dei bidoni di latta, sulla suggestione della cultura “junker drums”.
Djembe e dundun sono gli strumenti di Luigi Colella, che quando era ragazzo ha incontrato un musicista senegalese e da allora non ha mai tradito il richiamo africano, tanto da trascorrere una stagione in una casa griot a Dakar.
Claudia Giannotta ha iniziato a cantare a sedici anni, e da molti si è aperta alle vocalità africane, «intense, coinvolgenti, vissute con tutto il corpo», approfondire durante il viaggio in Burkina Faso insieme a Giovanni.
E poi ci sono loro, i testimoni e custodi dei ritmi del West Africa.
Somieh Murigu, che ha iniziato a battere i tamburi da bambino, “rubando” quelli per la messa trovati a casa della nonna, e non si è più fermato: una lunga ricerca per i villaggi africani, una carriera da musicista e un tour europeo che lo convince a restare in Italia. Qui da noi suona gli “ngoma”.
Il cuore di Meissa Ndiaye batte al ritmo del suo djembe, lui che è nato in una famiglia griot a Dakar, ed è cresciuto cantando e suonando, fino a trasformare questo vasto bagaglio in una professione.
Daouda Macalou, senegalese, è il più giovane del gruppo ma ha una lunga conoscenza dei canti tradizionali: insieme ad altri, è il consulente linguistico del gruppo per il repertorio africano.
Lecce, Tricase, Giuggianello, Galatina, Alessano, Morciano di Leuca. Kenia, Senegal, il Mediterraneo. Disegniamo il nostro cerchio nota per nota, passo per passo, una circonferenza di esperienze che si rincorrono tendendo corde e scivolando lungo la pelle tesa dei tamburi. Qui, dove i punti cardinali delle nostre provenienze si incrociano, in questa città che già da tempo parla lingue diverse, risuona ibrida, e noi vogliamo esplorare questo suono nuovo che racconta di noi.
Vogliamo sondare il centro magnetico della nostra identità pulsante, in movimento, di questa lingua madre plurale. In questo cerchio è il nostro Salento, una terra aperta, senza confini. Un’“Orchestra senza confini”.
Orchestra senza confini. Laboratorio prodotto dall’Associazione Sud Est e finanziato dalla presidenza del consiglio-dipartimento della Gioventù nell’ambito del bando “Giovani per la valorizzazione dei beni pubblici”.